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Fuga in Egitto

Il dipinto costituisce una delle rare opere di committenza privata di Francesco Cozza. Sulla base dell’antica iscrizione apposta sul retro, la tela è stata in un primo tempo riferita ad Agostino Scilla (Messina 1629 – Roma 1700), pittore siciliano attivo a Roma sulla scia del classicismo di Andrea Sacchi. Il prof. Lattuada, nell’attribuire l’opera al pittore calabrese, sottolinea le affinità del presente dipinto con la Madonna con il Bambino di Cozza oggi ad Adelaide, South Australia Art Gallery, originariamente riferita a Giovanni Lanfranco. Inquadrata da un’importante cornice antica, la tela conserva gli spessori materici originali, con quelle sovrapposizioni di stesure che sostanziano la stratigrafia “piuttosto articolata” tipica della tecnica pittorica del Cozza (C. Falcucci – S. Rinaldi, Appunti sulla tecnica pittorica di Francesco Cozza, in Francesco Cozza e il suo tempo cit., p. 185). La resa del soggetto ben esemplifica l’autonomia raggiunta dal pittore calabrese nel settimo decennio del XVII secolo, quando le suggestioni pittoriche assimilate a Napoli, a fianco del Domenichino, e a Roma, a contatto con i più celebri paesaggisti del secolo, vengono rielaborate in un linguaggio coerente e originale. L’episodio è trattato con estrema chiarezza narrativa: all’arcadica classicità delle figure, posta da Clovis Whitfield in relazione allo stile “ideale” di Poussin, fanno riscontro dettagli di marcata veridicità, come l’inserzione dell’utensile da cucina trasportato dall’asino, o la resa accurata della piantina erbacea in primo piano, identificabile con il tasso barbasso [per Cozza paesaggista, cfr. C. Whitfield, Artist of Arcadia, in “Apollo” (July 2005), pp. 44-51]. Questo dettaglio botanico simboleggia la rinascita spirituale e, posto al di sotto del Gesù Bambino, sembra alludere alla sua futura Resurrezione. Anche nel Ritrovamento di Mosé (Roma, Istituti di Santa Maria in Aquiro), ad esempio, “la perentorietà monumentale con cui le figure si inseriscono nella natura sanciscono il prevalere della narrazione storica su quest’ultima” (E. Coda in Francesco Cozza: un calabrese a Roma tra classicismo e barocco, catalogo della mostra, Roma, Palazzo Venezia, 2007, Roma 2007, p. 182). Nella Fuga in Egitto la qualità materica della stesura pittorica ed il gusto per la narrazione episodica che si snoda nelle minute figure a sinistra o nella fedele trattazione del manto del cane o del vello delle pecore in basso a destra, rimandano invece, come suggerito da Riccardo Lattuada (op. cit., p. 162), alla pittura di Mattia Preti e a certa produzione napoletana, quale quella di Agostino Beltrano, che fu proprio Cozza a raccordare con le più aggiornate tendenze stilistiche romane. L’impatto della maniera di Preti sulla produzione degli anni Sessanta di Cozza viene sottolineato anche da Ludovica Trezzani, in ragione della collaborazione tra i due nella realizzazione degli affreschi della Stanza del Fuoco del Palazzo Pamphili a Valmontone. Questo nuovo influsso, capace di innestarsi sulle suggestioni napoletane rielaborate in precedenza, “si traduce in una rilettura delle opere giovanili del Lanfranco” (L. Trezzani, Francesco Cozza, Roma 1981, p. 24), che informa di sé anche il dipinto qui presentato. Tra i suoi principali committenti romani figurano Contestabile Colonna e illustri esponenti della famiglia Pamphili, che, dopo l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Battista Pamphili con il nome di Innocenzo X nel 1644, dominava la scena politica e culturale della Città Eterna. Come ben attestato dai disegni custoditi nell’archivio dell’Accademia di San Luca, che ospitano le sue “Lezioni di Prospettiva”, Francesco Cozza era un teorico rigoroso che probabilmente aveva appreso la prassi della riduzione prospettica in scala direttamente da Nicolas Poussin. Dal regesto documentario dell’Accademia di San Luca, ove la presenza di Cozza è assidua e ben attestata, emergono, inoltre, i viaggi intrapresi dal calabrese nell’Italia centrale in qualità di “stimatore di pitture”, ovvero di conoscitore e perito d’arte. Analogamente a Mattia Preti, Cozza ben combinava la professione dell’artista con le qualità squisitamente intellettuali del teorico, dimostrando con la propria esperienza quella stessa originalità e quell’indipendenza creativa di cui il dipinto in esame è tuttora testimone. L’opera è soggetta a notifica da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. FRANCESCO COZZA (STIGNANO 1605 – ROME 1682) FLIGHT TO EGYPT, OIL ON CANVAS, 138 x 188 CM THIS LOT IS NOTIFIED BY MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI

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