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Maestro della Pietà, probabilmente Agnolo di Nalduccio (attivo a Siena, seconda metà del secolo XIV)

Madonna in trono con Bambino, tra San Giovanni Battista, Sant’Agnese, San Nicola da Bari, Santa Caterina d’Alessandria e due angeli, con Arcangelo Gabriele entro clipeo nella cuspide

Master of the Pietà, probably Agnolo di Nalduccio (active in Siena middle 14th Century)
Madonna and Child with saints and angels
tempera on panel, gold ground, with a shaped top, 56,5 x 25 cm

€ 40.000 - € 60.000

Sold for € 325.600

Notes:
Il dipinto su tavola a fondo oro offerto nel lotto corrisponde all’anta sinistra di un dittico destinato alla devozione privata, ricondotto al Maestro della Pietà da Millard Meiss nel 1946. Identica per dimensioni e forma, l’anta destra con la Crocifissione, già nella raccolta di Fritz August von Kaulbach di Monaco di Baviera e giunto per le vie del collezionismo in quella di Heinz Kisters di Kreuzlingen (Svizzera), è passata di recente in asta presso Sotheby’s, New York, il 2 febbraio 2018, al lotto 121. Testimonianza iconografica inequivocabile che conferma l’unità compositiva del dittico è la presenza, entro il clipeo delle rispettive cuspidi, della Vergine Annunciata volta a sinistra nella tavola con la Crocifissione e dell’Arcangelo Gabriele volto a destra nella tavola qui in esame. Le due ante risultano separate almeno dal 1929, quando la Crocifissione risulta già a Monaco di Baviera, viceversa la permanenza nel nord Italia del dipinto in esame è attestato a partire dal 1932, come riportato in fototeca Zeri. A completare il ricco percorso attributivo e la storia collezionistica dell’opera si segnala un’etichetta ottocentesca con riferimento a “Duccio di Buoninsegna” e all’anno “1282”. Un’attribuzione della “deliziosa tavoletta” ad Andrea Vanni era stata autorevolmente confermata da Roberto Longhi in una lettera del 10 giugno 1953 indirizzata a Paolo Candiani, presidente all’epoca dell’Accademia di Belle Arti di Brera e legato da parentela con il proprietario di allora. Il formato pittorico dell’altarolo privato, o da viaggio, entrato in voga a partire dalle originali creazioni della bottega dei Lorenzetti, ebbe notevole successo presso la committenza senese, tanto da costituire ricorrente elemento di pregio negli arredi delle famiglie più abbienti, sia aristocratiche che dedite alla mercatura, alla già florida attività bancaria, all’amministrazione fondiaria. Famiglie accomunate tutte da quella venerazione mariana particolarmente fervida che, nello spirito già fattosi tradizione distintiva della Civitas Virginis, costituiva un formidabile elemento di coesione sociale della Siena trecentesca. Caratteristica essenziale della produzione del Maestro della Pietà sembra essere una particolare, se non esclusiva dedizione ai piccoli formati, agli altaroli appunto; dittici e trittici destinati ad una fruizione domestica di devozione privata, tavolette attraverso cui egli declina la monumentalità dell'iconografia tradizionale creando icone di ridotte dimensioni che promanano tuttavia una grazia maestosa. Lo stile del Maestro della Pietà si contraddistingue per l'inconsueta commistione tra iconografie di matrice martiniana, tanto da far ipotizzare un suo soggiorno ad Avignone, e una vena eclettica, benché sempre e comunque paradigmaticamente senese, che sembra inizialmente più incline ai modi arcaistici di Lippo Memmi e Simone Martini, per avvicinarsi poi, progressivamente, a Pietro ed Ambrogio Lorenzetti e, con ancor maggiore evidenza, al linguaggio pittorico di Luca di Tommé. Tale maturazione estetica fu, secondo un concetto solo apparentemente anacronistico e paradossale, il passaggio da composizioni di tridimensionalità e dinamismo più marcati ad una prassi compositiva più statica e bidimensionale, dunque incline alla idealizzazione e ad una più intima, aulica spiritualità. A questa fase più matura della produzione dell’artista, intorno al 1360-70, è stata riferita unanimemente l’opera in esame. Secondo una felice intuizione Gaudenz Freuler avanza inoltre l’ipotesi che la complessa personalità del Maestro potrebbe essere scissa e ricondotta a quella di due pittori operanti in strettissima collaborazione, i due fratelli Fede e Agnolo di Nalduccio (nel nostro caso si tratterebbe di Agnolo), iscritti alla Corporazione dei Pittori in Siena già nel 1356. Un significativo confronto può essere facilmente stabilito con altre opere del Maestro della Pietà, a partire dal dittico della Galleria Nazionale di Praga (n. 011.923, 011.915), capisaldo per la ricostruzione della produzione del pittore. Ulteriori raffronti si ravvisano con il trittico della Pinacoteca di Siena (n. 156), in cui si ritrova lo stesso elemento del trono della Vergine con una terminazione a cuspide particolarmente pronunciata, alla maniera francese, con i santi e gli angeli laterali disposti in sequenza verticale, in campiture compatte e forme cristallizzate, come si nota anche nel dipinto offerto nel lotto. Il dettaglio della santa Agnese, con l'elegante velo trasparente che le copre il collo, trova uno stringente confronto con lo stesso motivo, presente nell'Incoronazione della Vergine di Bartolo di Fredi, conservata a Montalcino, Museo Civico Diocesano e d'Arte Sacra e in quella di Jacopo di Mino del Pellicciaio, conservata a Montepulciano, Museo Civico. Sul dipinto sono state condotte per l’occasione indagini diagnostiche a cura dell'ingegner Claudio Falcucci. In particolare la riflettografia IR ha evidenziato l'esistenza del disegno preparatorio sottostante, ben visibile soprattutto nelle mani, nei contorni e nelle pieghe dei panneggi, secondo quel gusto per il preziosismo del dettaglio tradizionalmente esemplificato dalla coeva arte della miniatura. Tale modus operandi si caratterizza per una concezione architettonica dello spazio e della narrazione pittorica, dove la stessa forma del pannello del dittico allude alla facciata di una cattedrale.

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Lot number 204, Old Master Paintings &038 19th Century Art Auction 151 and 152


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