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Giacinto Brandi (Roma 1621 - 1691)

Pietà

olio su tela, cm 98,3 x 196,6, entro cornice Salvator Rosa, manifattura romana degli inizi del secolo XVIII
reca un’etichetta sulla cornice in alto a sinistra: INV. 1913/ N. 231; un antico numero di inventario ripetuto su telaio e cornice: 29; sul telaio iscrizione GIAC[…] e etichetta di collezione: 67; una targhetta ottocentesca in smalto sul bordo superiore della cornice: 22.

PROVENIENZA:
Collezione del principe Altieri, Roma, 1707.
Galleria Giacomini, Roma, Vendita della Pinacoteca di S.E. Armando Brasini, accademico d’Italia, Roma aprile 1938, lotto 127 come Giacinto Brandi, dove è rimasto fino agli anni Sessanta del Novecento, quando è stato acquistato da un collezionista romano e giunto per via ereditaria agli attuali proprietari.

ESPOSIZIONE:
Chiesa di San Salvatore in Lauro, Roma, 1707, proveniente dal principe Altieri (probabilmente Girolamo Altieri, figlio di Gaspare Paluzzi Altieri).

BIBLIOGRAFIA:
E. Ravaglia, Opere sconosciute di Orazio Borgianni, in “Bollettino d’Arte”, VI, dicembre 1922, p. 252 ripr.
R. Longhi, Ultimi studi sul Caravaggio e la sua cerchia, in “Proporzioni”, I, 1943, ristampato in Il Caravaggio e i caravaggeschi di Roberto Longhi 1943/1951, Firenze 2005, p. 43, nota 29.
F. Zeri, La galleria Spada in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze 1954, pp. 45-46.
A. Pampalone, Per Giacinto Brandi, in “Bollettino d’arte”, ser. V, LVIII, n. 2-3, 1973, p. 141.

REFERENZE:
Fototeca Federico Zeri, busta 0487; fasc. 1; scheda 47725, con attribuzione a Giacinto Brandi, ubicazione ignota.

€ 30.000 - € 40.000

Lotto non venduto

Note:
Pubblicato nel 1922 da Emilio Ravaglia come opera di Orazio Borgianni, questo dipinto, raffigurante una monumentale Pietà, appariva citato nel catalogo della Vendita della Pinacoteca di S.E. Armando Brasini, accademico d'Italia (Galleria Giacomini, Roma aprile 1938, lotto 127) con una corretta attribuzione a Giacinto Brandi, successivamente accolta dalla critica. Nello stesso catalogo veniva segnalata la presenza di un cartellino a tergo della tela che, oltre a recare un numero d’inventario («inv. 1913 - n. 231»), ne specificava la provenienza dalla collezione Altieri. Sulla base di tale indicazione (oggi non più leggibile ad eccezione del numero di inventario), ritengo verosimile che l’opera possa essere identificata con «La Pietà, grande, di Giacinto Brandi» concessa in prestito dal principe Altieri (probabilmente Girolamo Altieri, figlio di Gaspare Paluzzi Altieri) all’esposizione annuale di quadri in San Salvatore in Lauro tenutasi nel 1707 (su cui G. De Marchi, Mostre di quadri a San Salvatore in Lauro [1682-1725]. Stime di collezioni romane. Note e appunti di Giuseppe Ghezzi, Roma 1987, pp. 216, 225-226, nota 16; G. Serafinelli, Giacinto Brandi [1621-1691]. Catalogo ragionato delle opere, Torino 2015, vol. II, p. 262, n. 65). Rimasta nella raccolta Brasini fino agli anni Sessanta del secolo scorso, la Pietà fu acquistata da un collezionista romano, giungendo agli attuali proprietari per via ereditaria. Questo dipinto mi era noto da tempo attraverso una riproduzione fotografica in bianco e nero di bassa qualità e ora che ho potuto prenderne visione diretta, colgo l’occasione per confermarne la piena autografia di Brandi e per integrare il catalogo delle opere nella mia monografia dedicata al pittore romano. Priva di ogni riferimento all’ambientazione scenica, la composizione, dal pronunciato taglio orizzontale, presenta al centro della tela e in posizione diagonale il corpo morto del Cristo, modellato con rapidi e decisi colpi di pennello e definito da contrasti chiaroscurali che enfatizzano il colore livido delle carni. Sulla destra, in secondo piano, appare la figura della Vergine Maria avvolta nelle vesti rosse e blu, con il capo coperto da un velo bianco e nell’atto di fissare il proprio figlio con le mani serrate in preghiera. La posizione del suo corpo, tutto proteso in avanti, il volto straziato dal dolore, gli occhi turgidi di pianto e rossi di sangue fanno di questa figura uno dei personaggi senza dubbio più drammatici e intensi mai concepiti da Brandi. Sulla sinistra del dipinto figurano due piccoli angeli: mentre il primo trattiene un chiodo della crocefissione, saggiandone l’estremità appuntita con un dito, il secondo rivolge lo sguardo verso la figura del Cristo con un atteggiamento affine a quello del putto che sostiene un chiodo della crocifissione raffigurato sul primo piano del Compianto sul Cristo morto del Brandi in Sant’Andrea al Quirinale (1675 - 1676). La fusione di istanze idealizzanti e naturalistiche, derivate da un’originale interpretazione di elementi del classicismo sia emiliano (vedi Giovanni Lanfranco) sia napoletano (in particolare Massimo Stanzione), trova in questa Pietà il pieno compimento. Per quanto attiene la cronologia esecutiva dell’opera (datata dalla Pampalone al 1665), ritengo che essa sia riferibile al periodo maturo dell’artista e che sia collocabile nel passaggio dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Settanta del XVII secolo, nel periodo compreso tra la realizzazione di tele come l’Adorazione del Cristo morto con san Francesco d’Assisi e angeli (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, inv, 2599), l’Adorazione del Cristo morto con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova (Roma, Galleria Antiquaria W. Apolloni) e il citato Compianto in Sant’Andrea al Quirinale. L’opera probabilmente più affine alla Pietà è l’Adorazione del Cristo morto col beato Bernardo Tolomei del 1670 ca. (Stoccolma, Nationalmuseum, inv. NM93), che presenta una narrativa pervasa dallo stesso tono intimistico e una figura del Cristo con alcuni dettagli anatomici quasi sovrapponibili. Guendalina Serafinelli

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Lotto numero 138, Dipinti Antichi e Arte del XIX secolo Asta 144 e 145


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