Mosè richiude le acque del Mar Rosso al passaggio del Faraone

Note:
Alla base dell'invenzione compositiva del presente dipinto stanno una lenta ideazione grafica ed una misurata esecuzione accademica dell'artista che su basi stilistiche qui si propone possa identificarsi con Antonio Tempesta. Formatosi nell'ambito della cultura tardo-manierista fiorentina, Tempesta ha operato a lungo a Roma per papa Gregorio XIII e per l'aristocrazia romana ed è noto soprattutto per la sua prolifica attività di incisore. La tela in esame sembra trovare una continuità virtuale con una serie di venticinque fogli rappresentanti episodi dell'Antico Testamento, con incisioni ed invenzioni di Tempesta, pubblicata da Nicola Van Aelst a Roma nel 1613. In particolare il cavallo ripreso frontalmente su cui campeggia il faraone in fuga in primo piano nella tela rimanda con lievi varianti al destriero di Abramo nel foglio Abraham Loth, et eius familia reducit (Abramo riconduce Loth e la sua famiglia nella sua terra) di Tempesta e di cui un esemplare è conservato a Bergamo, Accademia Carrara. Similmente si ritrova l'ancella con suppellettili sul capo nel dipinto ed in controparte nella stampa (dove la giovane porta invece tessuti), motivo questo che conferisce una dimensione quotidiana al grande evento.L'episodio biblico, tratto dall'Esodo ( 14: 27-31), è dipinto con "regolata mescolanza" secondo quanto aveva raccomandato Giovanni Andrea Gilio nel suo Dialogo nel quale si ragiona degli errori e degli abusi de' pittori del 1564. In conformità ai precetti di Gilio ad uso del buon pittore che si cimentava nella pittura sacra, l'opera in esame racconta la storia biblica con semplice grandiosità ed eleganza scenica.